Fallimenti, perseveranza, traguardi e sogni: Rosy Chin si racconta

Parlare di “successo” è più complicato di quello che sembra: è un termine fluido, dai significati molteplici, che si adatta e cambia forma.

Eppure è comune pensare che le storie di successo siano tutte uguali le une alle altre: che la linea sia retta, ascendente, immodificabile, e che la meta da raggiungere sia sempre la stessa.

Non si riconosce valore all’incertezza, al fallimento, all’errore: che invece sono i nostri alleati più preziosi per imparare a conoscerci e a riconoscerci tra la folla, mentre creiamo la nostra personalissima strada verso il successo. Che, ricordiamolo, non è un concetto assoluto ma la storia soggettiva di ognuno, ed ognuna, di noi.

Abbiamo discusso di successo, coraggio e perseveranza con Rosy Chin - chef, influencer e proprietaria del ristorante Yokohama, tempio della cucina fusion meneghina - e con lei abbiamo tracciato le tappe di un percorso umano e professionale ricco di sfide e ostacoli ma anche di grandi soddisfazioni, che l’hanno portata a diventare oggi The Queen Rosy Chin.

Sullo sfondo, come sempre, uno sguardo al panorama della leadership femminile in Italia e una riflessione sui cambiamenti (sociali, culturali, economici) di cui avremmo bisogno per colmare il gap esistente nel mondo imprenditoriale.

La mia è la storia di una figlia d’arte: mio padre inizia la sua carriera di imprenditore e chef in Italia negli anni Settanta, con la sua catena di ristoranti di cucina cinese. Ho sempre respirato aria di imprenditorialità e sono cresciuta fra pentole, padelle e tavoli. 

Allo stesso tempo, da sempre ho coltivato una sorta di amore-odio verso questa professione, quella del ristoratore: perché è un lavoro impegnativo, faticoso, che richiede gran parte del tuo tempo e che mi teneva sempre lontana dai miei genitori.

Ed è un paradosso, perché quando mi sono trovata a scegliere le scuole superiori, in realtà, ho deciso proprio di seguire le orme paterne. E questo è stato un punto d’incontro con la mia famiglia: quello che ci aveva divisi ci stava riavvicinando. 

Quindi ho fatto la scuola alberghiera, e mi sono diplomata, specializzandomi in una cucina diametralmente opposta rispetto a mio padre, quella occidentale e italiana, per riavvicinarmi poi a quella cinese e dare origine a quella che è oggi la mia cucina: una fusion experience che crea ponti, connubi e contrasti tra Oriente e Occidente.

Nella mia vita ho sofferto di bullismo, razzismo, discriminazione: come la storia di tante persone, nemmeno la mia è stata facile e priva di ostacoli. Sono donna, sono cinese, sono straniera e questo mi ha reso e mi rende diversa. E tutto ciò che è diverso dalla cosiddetta “normalità”, spaventa.

La cucina, soprattutto oggi che sono adulta, mi aiuta a ricucire queste ferite, a unire, a superare queste barriere. Perché la cucina è prima di tutto convivialità, è scambio, è condivisione. E questo è l’obiettivo di tutto quello che faccio.

D’altronde il contrasto fa parte di me fin da quando sono piccola. Sono cresciuta in Italia, in una famiglia cinese piuttosto conservatrice e tradizionalista. Avevo divieti da rispettare e responsabilità che i miei coetanei non conoscevano.

Sono orgogliosa di tutta la strada che ho fatto, quindi, ma so anche quanta sofferenza c’è dietro. Ma è proprio lì che ho trovato l’energia per non mollare: volevo dimostrare di potercela fare! E così ho fatto. 

Sembra banale ma servono passione, determinazione e perseveranza. Molto studio, tantissimo impegno e tanto sacrificio.

E poi la forza, quella che serve per dimostrare il proprio valore e per mostrare agli altri quello che sappiamo fare. E questo, nel mio caso caso, vale doppio: prima di tutto perché sono una donna, e su noi donne pesa uno stigma sociale e culturale che rende tutto più difficile, soprattutto quando si tratta di far valere la propria leadership e il proprio valore in un mondo prevalentemente maschile come quello imprenditoriale. Ma talvolta, banalmente, anche in quello famigliare.

E poi perché sono la figlia di uno chef, e ho sempre dovuto faticare per dimostrare di valere a prescindere da mio padre e dalla sua storia. Di potercela fare da sola.

Ma il consiglio più importante è un altro:

Dovremmo ispirarci all’arte orientale, che vede nella cicatrice risanata non un difetto ma una preziosa unicità, attraverso cui si acquisisce valore, non lo si perde.