L’informazione che crea (in)dipendenza: la parola a Factanza

You can’t fix what’s wrong in the world if you don’t know what’s exactly happening: l’universo di Factanza ruota intorno a questo asse con un’unica (grande!) missione, creare una generazione che sia consapevole di quello che succede nel mondo e che abbia gli strumenti adeguati per prendere decisioni libere e informate.

La media company, nata come progetto editoriale nel 2019 dall’idea di Bianca Arrighini e Livia Viganò - classe 1997 ed entrambe laureate in Economia Aziendale e Management alla Bocconi di Milano - e diventata startup innovativa nel settembre 2020 con l’inserimento nel programma di accelerazione Primomiglio SGR, conta oggi una community di 800.000 utenti organici under 35.

Bianca Arrighini e Livia Viganò parteciperanno in qualità di speaker all’edizione 2022 di WomenX Impact, in programma a Bologna dal 17 al 19 novembre: un’iniziativa a supporto dell’imprenditoria e della leadership femminili di cui Qonto quest’anno è TOP sponsor.

Abbiamo approfittato dell’occasione per rivolgere alle founder di Factanza alcune domande sul mondo della comunicazione e dell’innovazione e su quello dell’imprenditoria femminile in Italia.

Negli ultimi anni i metodi di fruizione dei contenuti informativi, educativi e di intrattenimento sono cambiati completamente. Basti pensare che oggi due italiani su tre si informano tramite social network, uno su tre dichiara di informarsi solamente tramite social, e il 40% dei giovani, quando cerca un posto per il pranzo, non si reca più su Google Maps o su Search ma su TikTok o Instagram.

Questo ha reso evidente l'esigenza, in particolare per il mondo dell'editoria, di adattarsi ai nuovi linguaggi e canali, dando vita anche al nostro progetto, che in due anni ha raggiunto una community di 800.000 utenti organici under 35.

Riguardo al futuro, è difficile fare previsioni attendibili. Quello che è certo è che l'utente andrà messo sempre più al centro e la comunicazione dovrà essere sempre più personalizzata, autentica e pronta all'evoluzione e all'adattamento alle nuove esigenze.

Sì, nei fatti sono ancora tanti gli ostacoli che le donne devono superare per avere un accesso effettivo alle stesse opportunità degli uomini.

Oggi su 6 milioni di imprese in Italia, solo 1.3 milioni sono guidate da donne: sicuramente per il genere femminile raggiungere ruoli apicali in azienda risulta più complesso che per il genere maschile.

Le ragioni sono molte: stereotipi di genere e assenza di role models, che fanno sì che le donne lavorino nei settori meno remunerativi (come educazione, ristorazione e assistenza sociale, e meno in quelli più retributivi, come quelli legati alle discipline STEM), normative insufficienti sulla maternità, che fanno sì che l’occupazione delle donne diminuisca del 20% dopo aver avuto figli, e aspettative comportamentali che vedono le donne come non adatte a ruoli dirigenziali o di leadership.

Abbiamo alle spalle un percorso ancora tutto sommato breve, ma questo non ci ha impedito di notare come spesso ci siano disparità di genere nelle opportunità. Questo è vero in molteplici ambiti e quello delle startup non fa eccezione.

Ad esempio, numerosi studi evidenziano come per le donne sia più difficile l'accesso ai capitali: le startup con founder maschili che riescono ad accedere al credito finanziario si aggirano intorno al 10%, quelle femminili si fermano al 4%. Non solo: oltre alla maggiore difficoltà ad accedere ai capitali, l'ammontare stesso degli investimenti in media risulta più basso per il genere femminile.

In Italia, su 14.077 startup, solo il 13% è a prevalenza femminile: questo evidenzia come, sebbene negli ultimi anni siano stati fatti molti passi avanti, la strada sia ancora lunga.

I role models sono ancora pochi, gli stereotipi di genere sono ancora molti.

Spesso quando si parla di parità di genere (o di femminismo) si ha l’immagine distorta di una guerra diretta contro il genere maschile, finalizzata a privarlo di opportunità e diritti. Di conseguenza, sembra che solo le donne - o gli “alleati” appartenenti a minoranze discriminate - possano e debbano combattere a favore della parità di genere: essere uomo e definirsi femminista appare un ossimoro, un’associazione che implica un conflitto di interessi.

Ma non è così.

Non si tratta di uno scontro tra sessi: lottare per la parità di genere significa assicurare pari opportunità, nessuna discriminazione e sistemi di assistenza che considerino le necessità di tutte le persone. Per questo è importante che anche gli uomini si interessino al dialogo sulla parità di genere, e non percepiscano più come una contraddizione il dire “sì, sono maschio e sono femminista”.

Probabilmente la giovane età, sia in termini positivi sia negativi. È stato l'elemento che in principio faceva dubitare delle nostre capacità, di fronte a interlocutori appartenenti a una classe anagrafica completamente diversa. Ma è stata anche la chiave che mi ha permesso di ripensare il mondo dell’informazione senza rimanere legate a un'idea tradizionale del suo funzionamento, dando vita a Factanza.