4,7 milioni di euro per la startup che vuole rivoluzionare la gestione del personale. Il co-founder Marco Ogliengo, ex ProntoPro, ci racconta la sua esperienza di second time founder.
Non esiste un'unica strada verso il successo. E non esiste un solo modo di fare fundraising.
L’esperienza, il mercato, il ruolo e il potere degli investitori cambiano e fanno la differenza, combinandosi con un approccio alla raccolta che non è mai uguale a se stesso e che si basa su regole, presupposti e quindi esiti differenti.
Se l’obiettivo è scalare, il punto di vista di un second time founder diventa così doppiamente interessante, soprattutto se con la sua seconda startup ha segnato il record italiano di raccolta pre-seed: in questa intervista Marco Ogliengo, ex ProntoPro e co-founder di Jet HR, ci racconta i retroscena del recente fundraising da 4,7 milioni di euro e ci spiega come la precedente esperienza di founder ha influito su questo round.
Spoiler? La credibilità agli occhi degli investitori, prima di tutto, ma anche un equilibrio differente a regolare i rapporti tra i fondi e le startup. E poi un approccio più strutturato e ragionato al fundraising.
Quello che sicuramente rimane una certezza è che avere una buona idea non basta. Per fare gli imprenditori serve, prima di tutto, il coraggio di buttarsi.
Come nasce l’idea di Jet HR?
Jet HR nasce da un’esperienza personale. Nel 2015 ho lanciato ProntoPro, un’azienda che da zero in poco tempo è arrivata ad avere 100 dipendenti e ho odiato ogni minuto del tempo che ho dovuto dedicare alla gestione amministrativa del personale.
La burocrazia italiana è tanta, ed è complicata. Non è facile comprendere le normative né le implicazioni in termini di costi del lavoro: quanto mi costerà assumere quel dipendente? Quanto potrei risparmiare assumendo un apprendista? Quali i casi in cui un apprendista è effettivamente consentito assumerlo, e quando invece no? Tante domande, tantissime.
Ecco, trovare un modo per risolvere questo problema era in cima alla lista delle mie idee di business dal 2016.
E che cosa la rende vincente?
Partiamo da un dato: 7 HR manager su 10 sono scontenti degli attuali strumenti per la gestione amministrativa del personale e ad oggi non esistono soluzioni moderne in grado di supportarli da questo punto di vista.
È questo a rendere Jet HR un’idea vincente: stiamo facendo qualcosa di cui c’è bisogno.
Certo, è un prodotto non facile da costruire, ma le esigenze a cui ci prefiggiamo di rispondere sono ben chiare e, soprattutto, sono reali.
La tua è un’esperienza da second time founder: com’è cambiato il mondo degli investimenti rispetto al 2015?
Ci muoviamo in un mondo completamente diverso e, ovviamente, sono io stesso ad avere una credibilità completamente diversa.
Nel 2015 c’erano tre fondi di Venture Capital e pochi Business Angel. Il potere negoziale era tutto nella mano dei fondi e questo li rendeva molto conservativi nel decidere quando un’azienda fosse pronta a ricevere degli investimenti.
Era difficile contrattare: l’imprenditore non aveva potere negoziale.
La realtà attuale è del tutto diversa: ci sono moltissimi fondi, è cresciuto notevolmente anche il numero degli Angel Investor ed è nata una nuova generazione di Fund Manager più smart e founder-friendly. Senza contare l’accresciuto e in parte nuovo interesse dei fondi stranieri a investire in Italia.
Il successo del round record di Jet HR risente certamente di questo mondo diverso, ma non solo.
La credibilità dei founder, mia e di Francesco Scalambrino, ha fatto la differenza agli occhi degli investor, insieme al potere di un’idea che, lo ripeto, è fortissima.
Com’è cambiato, invece, il tuo approccio al fundraising?
Sicuramente la mia precedente esperienza mi ha portato ad avere oggi un approccio molto più strutturato e ragionato al fundraising.
Prima di tutto abbiamo definito la cifra di cui avremmo avuto bisogno per arrivare a una determinata milestone.
Il ragionamento è partito dalla consapevolezza che, per raccogliere il round successivo, avremmo dovuto dimostrare determinati KPI's di crescita. Abbiamo quindi calcolato il tempo necessario per raggiungerli e, a questo, abbiamo aggiunto circa 9 mesi di buffer, per evitare di arrivare “in affanno” al fundraising successivo e perdere così il potere negoziale.
Questo ci ha permesso di stabilire con molta precisione di quanti soldi avevamo bisogno.
Solo in un secondo momento siamo entrati in contatto con una serie di Angel Investor di alto profilo, per fare alcuni nomi Dario Brignone e Alberto Dalmasso, co-founder di Satispay, Luca Foresti, CEO di Santagostino e Max Ciociola, CEO di Musixmatch.
Avere a che fare con imprenditori-investitori significa relazionarsi con persone estremamente concrete, che sanno quello di cui hai bisogno, e che ti fanno guadagnare in termini di credibilità anche agli occhi dei fondi.
4,7 milioni di euro, record italiano pre-seed: quali sono le ragioni di questo successo?
Da una parte, come già ho sottolineato, ci ha aiutato la credibilità dei founder: avere di fronte qualcuno che ha già fondato un’azienda di successo rende un investitore molto più tranquillo.
Poi il fatto che stiamo risolvendo un problema enorme del fare impresa in Italia, costruendo una soluzione in grado di semplificare l’assunzione, il pagamento e il budgeting del personale.
Una soluzione che non solo vuole aiutare l’imprenditore nella gestione amministrativa diretta delle risorse ma che vuole diventare anche uno strumento strategico con cui monitorare e prevedere le spese in personale.
Quali gli errori da non ripetere e le lezioni imparate dalla tua precedente esperienza imprenditoriale?
Lezione numero uno: non risparmiare sulle persone.
Quando ho costruito ProntoPro l’ho fatto coinvolgendo persone estremamente smart ma tutte molto junior. Questo ha implicato necessità di micromanagement e di fatto ha rallentato la crescita aziendale.
La strategia in Jet HR è completamente diversa. Abbiamo puntato su figure senior e sostituito il micromanagement con una gestione del team basata sulla delega. Sono risorse che costano 5 volte di più rispetto a una figura junior, ma che producono 50 volte tanto e non hanno bisogno di essere gestite.
E poi, sempre in tema hiring: ho capito che è cruciale non fossilizzarsi nella ricerca del candidato perfetto, perché raramente esiste così come ce lo siamo immaginato. Quando si apre una posizione, occorre capire qual è la cosa che quella persona dovrà fare davvero bene e concentrarsi solo su questo: così si trovano, e si assumono, i migliori professionisti.
Che consiglio daresti a chi vuole lanciare un business?
Vedere una startup dal proprio interno per demistificare l’idea di fare business, per capirne le dinamiche, per osservare i processi.
Fare qualche anno di esperienza è sicuramente essenziale. Ma a un certo punto è necessario anche buttarsi!
Fare l’imprenditore, secondo me, al 90% è proprio buttarsi: il successo stesso, spesso, deriva più dall’aver avuto il coraggio di credere nella propria idea che dall’essere in gamba.
Sei padre di due figli e anche tua moglie è alla guida di una startup in forte crescita: come gestite il carico e l’equilibrio famigliare?
Ci si deve aiutare l’un l’altro.
Quando Silvia (Wang, n.d.r) è partita con Serenis io per un anno mi sono occupato dei bimbi. Adesso che Serenis è in una fase più stabile e richiede quindi un effort minore, i ruoli si sono invertiti e si è creato lo spazio per me per dedicarmi a Jet HR.
Ovviamente non è possibile pianificare tutto a tavolino, ma l’idea di aspettare prima di lanciarmi in questo nuovo progetto è stato un accordo esplicito tra me e mia moglie.
Senza dimenticare, in un’ottica più day-by-day, l’importanza di un supporto esterno, nel nostro caso di una tata!